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Sudan: dialogo tra militari e opposizioni

A quasi otto mesi dal colpo di Stato in Sudan del 25 ottobre 2021, i militari del generale Abdel Fattah al-Burhan al potere e l’opposizione del Sudan Revolutionary Front (SRF) hanno trovano un’intesa per avviare un percorso di dialogo. Le parti hanno comunicato martedì scorso la volontà di procedere secondo la proposta elaborata dal cosiddetto Trilateral Mechanism, composto da Unione Africana, Nazioni Unite e Autorità Intergovernativa per lo Sviluppo (IGAD), l’Organizzazione regionale del Corno d’Africa. Secondo i comunicati ufficiali nei prossimi giorni sarà costituito un comitato congiunto per discutere i particolari del negoziato. Tuttavia, se da un lato la comunità internazionale ha accolto con favore la notizia, dall’altro lato in Sudan si sono sollevate molte voci critiche. La contrarietà ai colloqui tra i militari e i civili è stata esternata anche durante le manifestazioni che da mesi attraversano il Paese a causa della grave crisi economica e dell’aumento dei prezzi, aggravato dalla guerra in Ucraina – e ieri si è registrata una nuova vittima in piazza, la centesima dall’inizio degli scontri secondo il Comitato dei medici sudanesi. Il disappunto è stato espresso anche dalle United Sudanese Revolutionary Forces Abroad (USRFA), la coalizione che raccoglie numerose organizzazioni di sudanesi all’estero, perché il piano del Trilateral Mechanism rafforzerebbe la posizione dei militari, riconoscendo in qualche la legittimità del golpe di ottobre. Dalla rimozione del Presidente al-Bashir nell’aprile del 2019 il Sudan sta attraversando un periodo turbolento, caratterizzato da un costante scontro tra i lealisti del regime, i militari e le rappresentanze civili. Dopo la caduta dell’ex capo di Stato le varie parti erano riuscite a elaborare una Dichiarazione Costituzionale per la gestione della transizione, con un compartecipazione delle Forze Armate all’esecutivo. Il 25 ottobre 2021, però, i militari hanno assunto il potere – anche con il sostegno di truppe russe, – imponendo un accordo per il quale il Governo resta in mano ai civili e al Primo Ministro Abdallah Hamdok, ma ogni decisione è sottoposta al controllo della giunta di al-Burhan. Nonostante la sorveglianza del Trilateral Mechanism, le prospettive di un reale processo di stabilizzazione in Sudan restano piuttosto incerte: le proteste popolari sono all’ordine del giorno e la crisi economica è sempre più profonda. I militari invece mantengono saldamente il controllo, grazie sia alla loro capacità di volgere a proprio vantaggio i fondi internazionale, sia ai loro legami esteri, dalla Russia ai Paesi del Golfo, interessati alle risorse naturali del Paese. In questo senso una delle figure chiave del regime è Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemetti, già a capo delle Rapid Support Forces (RSF) protagoniste di efferatezze in Darfur, poi vicepresidente del Consiglio Sovrano di Transizione guidato da al-Burhan – l’organo che avrebbe dovuto garantire la transizione dopo al-Bashir, – oggi e capace di controllare direttamente miniere d’oro e numerosi mercenari.

Fonte: https://ilcaffegeopolitico.net/

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