Mondo&Estero

Cina: prove di dialogo

Dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina l’insieme dei rapporti internazionali rivela consistenti trasformazioni che sembrano destinate a cambiare il già precario equilibrio del mondo globalizzato, scosso negli ultimi anni dallo scontro tra i “rivali sistemici”, Stati Uniti e Cina. Il Governo di Pechino ha rivelato durante le Liang Hui, le due Sessioni terminate l’11 marzo scorso, i nuovi obiettivi di crescita, ricalcolati al ribasso a causa della pandemia, delle incertezze legate alla guerra in Europa e al crescente “divario culturale”: con questo termine si sintetizzano le gravi criticità che il troppo rapido sviluppo economico e tecnologico ha prodotto in un tessuto sociale per molti versi ancora ancorato a tradizioni culturali che privilegiano la stabilità e l’armonia, restringendo gli spazi di libertà. Da questo contesto è emersa anche la necessità per Xi Jinping di arginare la presenza militare, diplomatica e commerciale americana nel “cortile di casa” cinese, e non solo, promuovendo una nuova iniziativa di sicurezza globale in aprile, al Boao Forum for Asia.

In esito a questa nuova visione di sicurezza completa, cooperativa e sostenibile, per mantenere la pace nel mondo, tra la fine di maggio e la prima settimana di giugno il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha visitato 7 Paesi insulari del Pacifico (le Isole Salomone, Kiribati, Samoa, Fiji, Tonga, Vanuatu, Timor Est e Papua Nuova Guinea) e ha tenuto incontri virtuali con i vertici al Governo nelle Isole Cook, Niue e negli Stati Federati di Micronesia.
Il viaggio aveva lo scopo di proporre ai Pacific islands countries un Patto per il Pacifico che si sostanziava in un accordo multilaterale di vasto respiro, che prospettava un’area di libero scambio tra le nazioni rivierasche, per proteggere le attività commerciali, condurre una comune politica per la pesca, anche con la creazione di una sorta di polizia del Pacifico, garante della difesa del territorio e delle acque, per consentire una cooperazione sempre più stretta, anche attraverso una gestione congiunta della rete informatica. Questa visione di sviluppo comune disegnata da Pechino, come una progettualità tesa all’armonia, alla giustizia e ad un più equo progresso del mondo ha suscitato molte perplessità.
Il risultato di questa attività diplomatica è stato relativo in quanto l’unico accordo di vasta portata è stato firmato nelle Isole Salomone, con lo scopo di aiutare a mantenere l’ordine sociale che prevede, su richiesta, l’invio di contingenti delle Forze Armate cinesi e persino navi da guerra. Una cooperazione militare così stretta potrebbe contemplare, secondo i più informati, la costruzione di una base navale sulle isole che, in base a un trattato firmato nel 2017, già godono dell’ausilio della polizia australiana. Alla luce di ciò il Governo cinese ha veicolato gli accordi come integrativi dei meccanismi di cooperazione multilaterali già esistenti.

Questi incontri-scontri hanno quindi rappresentato un ulteriore tassello nella competizione strategica, sempre più evidente, che contrappone gli Stati Uniti ed i suoi alleati alla Cina , accusata di provocare una consistente destabilizzazione della regione. D’altro canto appaiono chiare le ambizioni del Dragone che, dopo aver ottenuto una zona poverissima ma strategica come Gibuti, che le ha dato modo di gestire circa 70 accademie militari sul territorio cinese, offre addestramento al personale impegnato nelle Forze Armate di molti Paesi afroasiatici, per costruire un consenso internazionale attorno alle politiche di sviluppo del “socialismo con caratteristiche cinesi” che, tra l’altro, è stato in grado di sollevare dalla povertà in pochi anni milioni di persone. Il tentativo di espansione della rete militare cinese coinvolge probabilmente anche l’isola Great Coco (Myanmar) dove sarebbero collocate strutture e radar controllati dalla RPC per monitorare le attività della Marina Indiana, non lontano dallo strategico stretto di Malacca. Lo scopo ultimo è chiaramente quello di estendere il controllo cinese alle porte dell’Australia e della Nuova Zelanda, alle spalle delle basi militari statunitensi stanziate a Guam.

Alle frizioni sono seguiti altri tentativi di dialogo, tra il 10-12 giugno 2022, durante il Shangri-La Dialogue, il più importante summit sulla sicurezza dell’Asia, organizzato dal 2002 a Singapore dall’International Institute for Strategic Studies (IISS). Il Segretario Americano alla Difesa Lloyd Austin e il Ministro della Difesa cinese Wei Fenghe hanno cercato di riprendere le fila di un difficile confronto, continuato pochi giorni dopo a Lussemburgo tra il consigliere per la Sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Jake Sullivan, e Yang Jiechi, un influente membro dell’Ufficio Politico del PCC.
La Cina, considerata sempre più assertiva, sta dedicando grandi finanziamenti alle Forze Armate che risultano, da una parte, un quarto di quelli statunitensi, ma che in 10 anni sono lievitati e, grazie a politiche industriali e fiscali mirate oltre che a ingenti fondi stanziati per la ricerca, hanno consentito un’incredibile innovazione tecnologica in armamenti convenzionali, nucleari e laser, nonchè la sperimentazione di missili ipersonici, armi elettromagnetiche e droni sottomarini grazie anche agli enormi progressi fatti nel campo dell’Intelligenza Artificiale. Washington, da parte sua, ritiene la sfida con la Cina un obiettivo chiave per controllarne l’influenza militare attraverso un’offensiva volta ad isolare il Dragone.

In occasione del compleanno del leader cinese, Putin ha chiamato Xi Jinping per la prima volta dal 25 febbraio, quando aveva informato il partner strategico dell’attacco all’Ucraina, lanciato il giorno prima. Durante il colloquio il Presidente cinese, come da millenaria tradizione, ha rivendicato una valutazione indipendente, legata al contesto storico e alle peculiarità della situazione, ma non ha nascosto la volontà di promuovere, in modo responsabile, un processo di pace, che consenta la stabilità dell’ordine economico globale, preconizzato dal nuovo ponte autostradale che collega la città cinese di Heihe con Blagoveshchensk, passando sull’Amur, dove nel 1969 erano schierati i carri armati sovietici per minacciare una giovane Cina, che stava elaborando una visione diversa del comunismo.
Di fronte ad una guerra ibrida nel cuore dell’Europa, a un’aggressività sempre più preoccupante e ad un nazionalismo esasperato, non solo per quanto riguarda Mosca nei confronti di Kiev, ma anche Pechino nei confronti di Taipei, il rischio è un nuovo scontro tra sistemi e civiltà che potrebbe risucchiare il mondo in un inverno nucleare. L’auspicio è che non si assottigli ulteriormente lo spazio riservato al dialogo, ma si cerchi di costruire una nuova stabilità sistemica, che sappia superare le strategie “friend-shoring” favorendo una reale cooperazione globale, perché, come diceva Robert Schuman, “la pace mondiale non si salvaguarda senza sforzi creativi proporzionali ai pericoli che la minacciano”.

Fonte: https://ilcaffegeopolitico.net/

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